2. Petra Koch, L'archiviazione dei libri comunali nelle città dell'Italia settentrionale e
centrale durante il XIII e nei primi decenni del XIV secolo (pp. 19-69).
3. Thomas Behrmann, Dalla sentenza all'atto giudiziario. Osservazioni sullo sviluppo
delle scritture processuali a Milano (pp. 71-90).
4. Petra Koch, Conflitti legali nel comune di Vercelli. Il sorgere e l'utilizzo delle
scritture processuali (pp. 91-116).
5. Claudia Becker, Contributi alla storia della contabilità e dei rendiconti
nell'amministrazione comunale (pp. 117-148).
6. Peter Lütke Westhues (in collaborazione con Petra Koch),
L'imposta patrimoniale
(estimo) nel XIII secolo. Ricostruzione ed analisi del procedimento (pp. 149-188).
7. Michael Drewniok, L'organizzazione dell'approvvigionamento alimentare a Novara
secondo le norme statutarie comunali del XIII secolo (pp. 189-215).
8. Marita Blattmann, Elezioni e
utilizzo della scrittura a Bergamo negli ultimi decenni
del XIII secolo (pp. 217-264).
9. Thomas Behrmann, Annotazioni sull'uso della scrittura nella diplomazia comunale
del XII e del primo XIII secolo (pp. 265-281).
10. Barbara Sasse Tateo, La citazione di registri
comunali nelle cronache di Galvaneo
Fiamma (pp. 283-303).
11. Jörg W. Busch, Riflessi del processo di diffusione della scrittura nella storiografia lombarda tra l'XI e il XIII secolo (pp. 305-321).
1. Thomas Behrmann, Introduzione: Un nuovo accesso alla documentazione scritta dei
comuni dell'Italia settentrionale (pp. 1-18).
I documenti scritti che i comuni italiani produssero con il progressivo configurarsi del loro sistema di governo e con la differenziazione della loro amministrazione durante il XII e, specialmente, il XIII secolo, offrono un punto di partenza particolarmente vantaggioso per l'esame del processo di diffusione della scrittura nell'Europa medievale. Essi non rispecchiano solo uno stadio iniziale, bensì riuniscono anche un grande numero di forme e contenuti della scrittura a scopi pratici. I contributi del presente volume, che integrano le ricerche finora compiute sul notariato e la diplomatica comunale, intendono porre in primo piano lo sviluppo e la combinazione di tecniche amministrative basate sulla scrittura, valutando queste ultime come espressione di una nuova consapevolezza delle possibilità legate all'uso della scrittura. Ciò avviene sulla base di esempi di rilievo individuati nella zona di Milano e dei territori circostanti, tenendo conto del fatto che il complesso dei documenti giunti fino a noi, eterogeneo e finora scarsamente analizzato, richiede una visuale assai larga.
Come fattore formale fondamentale dell'incremento esplosivo della scrittura nell'ambito comunale si delinea l'introduzione del libro, documentata in misura crescente nella prassi giuridica ed amministrativa dei comuni a partire dal tardo XII secolo. I libri, utilizzati come strumenti atti a rendere più sistematici il rilevamento, l'archiviazione e l'utilizzazione di informazioni, si prestavano a funzioni diverse, come la registrazione di documenti, lettere o atti processuali, la fissazione di un catalogo di norme giuridiche vincolanti per tutta la comunità, lo svolgimento regolare di procedure elettorali o un'efficace sistema di esazione delle imposte.
Impulsi notevoli furono dati al processo di diffusione della scrittura dai conflitti interni ed esterni, che in primo luogo poterono trovare il loro sbocco proprio in modelli risolutivi fissati per iscritto, in secondo luogo acuirono, in una società orientata in misura sempre maggiore su norme scritte di diritto, la consapevolezza che fosse necessario dare al diritto una garanzia preventiva fissandolo per iscritto. Altro fattore di rilievo fu il principio della rotazione delle cariche pubbliche, caratteristico dell'ordinamento dei comuni italiani e sempre più diffuso. Sia l'idea che ne era alla base, cioè il controllo pubblico sugli organismi di governo, sia la necessità di una gestione continuativa degli uffici pubblici, fecero sorgere nuovi tipi di documento nel campo amministrativo.
Caratteristico della pratica che i comuni italiani ebbero con la scrittura è anche il fatto che essa non venne usata solo per scopi di (semplice) documentazione, ma anche - in misura crescente - a scopo di riproduzione, anche se la trascrizione di libri e singoli documenti - come in alcuni casi persino la procedura stessa del fissare per iscritto - non appare sempre giustificata in modo plausibile. Questo fatto, d'altronde, non è sufficiente a mettere in ombra la razionalità spiccata dell'organizzazione comunale, resa possibile dall'uso della scrittura: 'calcolatrice' per quanto concerne la massa di informazioni raccolte, ordinate e utilizzate, 'matematica' nell'elaborazione di dati, 'calcolabile' nella salvaguardia dei principi di diritto legati alla scrittura, l'amministrazione comunale ha saputo, con le sue prestazioni innovative, superare l'orizzonte cittadino.
2. Petra Koch, L'archiviazione dei libri comunali nelle città dell'Italia settentrionale e
centrale durante il XIII e nei primi decenni del XIV secolo (pp. 19-69).
Le misure che i comuni italiani presero per l'archiviazione della loro documentazione scritta, permettono di giungere a deduzioni fondamentali per quanto riguarda il valore assunto dai documenti scritti nel contesto della vita cittadina. A causa del continuo aumento degli atti prodotti e del numero crescente di registri nei singoli campi dell'amministrazione, si giunse a riconoscere la necessità di intervenire direttamente e complessivamente, per mezzo di norme statutarie o decreti del consiglio, sulla salvaguardia dei documenti scritti e furono sviluppate proprie forme di organizzazione con lo scopo di raccogliere e conservare in modo accessibile il materiale utile a garantire continuità nell'amministrazione. La natura eterogenea del materiale da archiviare, l'esistenza di più copie per un documento, la particolare forma amministrativa che prevedeva l'avvicendarsi dei funzionari nelle cariche pubbliche, impedirono nel XIII e agli inizi del XIV secolo il formarsi di un unico archivio comunale. Si cercò piuttosto di trovare depositi adeguati a tramandare il materiale nel tempo e consoni alle esigenze pratiche. Poichè allora, come già nell'alto medioevo, erano soprattutto le chiese e le sacrestie a garantire una conservazione sicura, i comuni continuarono fino al XIV secolo ad affidare i propri atti, o anche originali e copie di libri il cui contenuto fosse di interesse generale e di prolungata validità, alla custodia delle chiese. Invece il materiale scritto di uso quotidiano, prodotto in continuazione, veniva agli inizi probabilmente consegnato direttamente nelle mani del rispettivo successore alla carica. Poichè, d'altronde, la tenuta dei registri si andò mano a mano differenziando e la documentazione scritta doveva risultare accessibile per successive verifiche, chiarimenti o richieste di prove, si creò l'esigenza di istituire una forma di deposito centrale ed accessibile che consentisse l'utilizzazione dei documenti. Tale compito fu assolto dal comune in due forme diverse: In molte città fu la tesoreria, come istanza centrale di coordinamento, ad assumere già in un primo tempo la funzione di deposito per gli atti, in cui i registri venivano raccolti e conservati insieme al tesoro del comune, venendo quindi a farne parte. D'altro canto, dalla metà del XIII secolo in poi in molte località fu messa in atto una soluzione del tutto nuova e senza precedenti, cioè la formazione di istituzioni proprie del comune destinate all'archiviazione della documentazione scritta. Uno dei compiti fondamentali dei funzionari superiori, che nella maggioranza dei casi erano di professione notai, consisteva nella stesura di copie; gli altri funzionari erano tenuti periodicamente a consegnare tutti i loro registri per una verifica della loro attività, che serviva anche a evitare il formarsi di lacune nella documentazione. Poichè le annotazioni nei registri, nonchè le copie, avevano valore di prove, la conservazione ordinata e l'accessibilità di tutti gli scritti che fissavano una circostanza assumeva per il comune un significato essenziale. Nei processi diventava possibile ricorrere con uno scopo preciso ai registri dell'amministrazione. E, in particolare, gli 'archivi' pubblici, accessibili a tutti, offrivano al singolo cittadino la possibilità di far valere i propri diritti e interesse nei confronti del comune o di concittadini. Non solo attraverso le nuove tecniche di registrazione, ma soprattutto attraverso l'archiviazione del materiale scritto di uso quotidiano, che ebbe nella seconda metà del XIII secolo uno sviluppo decisivo, le città si posero come obiettivo di creare una vasta certezza giuridica. I registri furono muniti di intestazioni e segnature per facilitarne la ricerca e conservati ordinatamente in sacchi, panche, soprattutto in armadi a compartimenti separati. Per assicurare, però, anche un accesso diretto, si rese necessario un inventario generale. Oltre agli elenchi degli atti, che avevano l'aspetto di regesti e venivano stesi per la maggior parte dei casi per motivi politici, agli inventari 'di consegna', alle semplici liste dei registri amministrativi, sono pervenuti fino a noi inventari d'archivio sotto forma di inventari analitici da Bologna, Savona e Perugia, risalenti al XIII e agli inizi del XIV secolo. Essi mostrano come gli 'archivi' disponessero di un sistema di deposito del materiale adeguato alle esigenze dell'amministrazione comunale, con una divisione cronologica per periodi di carica dei podestà o degli altri funzionari pubblici, e quindi basato sul 'principio di provenienza'. Parallelamente si possono rilevare anche gli inizi di una suddivisione tematica, nel senso dell'affermarsi di un 'principio di pertinenza'.
I comuni dell'Italia settentrionale e centrale organizzarono, a partire dal XIII secolo, 'archivi' propri e di carattere puramente comunale che, insieme alle chiese, garantirono conservazione, ordine e utilizzo della loro documentazione scritta. Questa organizzazione archivistica d'alto livello, ed anche, in momenti di conflitto, gli assalti agli archivi, documentati con frequenza a partire dalla fine del XIII secolo e che tendevano a distruggere, insieme con la tradizione scritta, anche i diritti materiali della controparte, dimostrano quale significato avessero raggiunto l'uso della scrittura e l'organizzazione archivistica nella coscienza cittadina.
3. Thomas Behrmann, Dalla sentenza all'atto giudiziario. Osservazioni sullo sviluppo
delle scritture processuali a Milano (pp. 71-90).
Sia per il loro valore in quanto testimonianze delle manifestazioni del potere statale, sia anche a causa della loro tradizione continuativa, gli atti giudiziari dei comuni italiani appaiono, come una categoria di fonti particolarmente indicata a far riconoscere gli stadi del processo di diffusione della scrittura nell'amministrazione comunale. Al tempo stesso è possibile, sulla base di queste fonti, osservare l'influsso dei diritti civile e canonico sulla prassi giuridica locale. Sull'esempio della tradizione milanese si dimostra qui come la scomposizione del procedimento legale, iniziatasi con l'affermarsi dell'atto d'accusa scritto, comporti anche la documentazione scritta dei singoli stadi del procedimento stesso. Costituzioni in giudizio (positiones) ed ogni dichiarazione delle parti in causa, interrogatori dei testimoni e citazioni in giudizio vengono ora fissate per iscritto; mentre alcune prime testimonianze risalgono già al XII secolo, l'orizzonte temporale decisivo per la loro diffusione si colloca nei primi decenni del XIII secolo. L'esistenza di registri comunali giudiziari è attestata per Milano poco dopo il 1200. Chiese e conventi, da parte loro, raccolgono, in qualità di parti in causa, il sempre più abbondante materiale processuale e provvedono a cucirlo 'in forma di atti'. Sia la tendenza crescente a basarsi su argomentazioni fondate dal punto di vista giuridico, legate alla forma scritta e presentate da rappresentanti qualificati delle parti, sia il probabile aumento di fatto delle controversie giudiziarie, hanno come conseguenza che la durata dei procedimenti si estenda non di rado al di là del periodo di carica di più giudici e notai. La sorprendente frequenza di sentenze emesse da giudici comunali datate verso la fine di un anno - particolarmente negli ultimi giorni di dicembre - potrebbero indicare una reazione alla crescente durata dei processi. In ogni caso il fattore tempo, accanto all'imporsi dell'argomentazione dotta, ha indubbiamente dato un impulso determinante alla diffusione della scrittura.
4. Petra Koch, Conflitti legali nel comune di Vercelli. Il sorgere e l'utilizzo delle
scritture processuali (pp. 91-116).
Durante i secoli XIII e XIV, nel corso dei conflitti riguardanti il possesso delle località Trino, Piverone e Palazzo, dei quali erano parte in causa i signori di Casalvolone, Burolo e Azeglio, il comune di Vercelli diede incarico di estrarre una parte delle indicazioni concernenti il processo da intere serie di libri dell'amministrazione finanziaria e giudiziaria comunale di epoche precedenti. In tal modo si potè ricostruire la sovranità giurisdizionale e tributaria a Vercelli per un lungo arco di tempo. Gli spesso antichissimi registri conservati nell'archivio comunale assunsero così una rilevanza per la documentazione di fatti passati, la quale andava oltre il loro utilizzo nell'ambito della corrente amministrazione. Nel corso del dibattimento venivano addotte, oltre ai veri e propri documenti processuali, prove consistenti in copie di documenti; il tutto veniva a costituire, sotto forma di rotolo, gli "atti del processo". Inoltre venivano anche compilati altri rotoli, non già per riportarvi l'intero corso del dibattimento, bensì per includervi duplicati di precedenti contratti o brani ricavati da libri, da utilizzare a scopo di prova. Avendo compreso i vantaggi del disporre di annotazioni scritte, si procedeva spesso a ricopiare un testo persino più volte, e si mirava a rilevare sistematicamente e a rendere costantemente disponibili documenti destinati a salvaguardare i propri diritti annotandoli nei codici diplomatici dei 'Biscioni'. La loro insolita struttura - una disposizione tematica senza ordine cronologico - è spiegabile, per lo meno nei casi qui esposti, tramite la ricostruzione del contesto processuale.
5. Claudia Becker, Contributi alla storia della contabilità e dei rendiconti
nell'amministrazione comunale (pp. 117-148).
Lo sviluppo della contabilità comunale in Italia, a partire dal XII secolo fino ai primi decenni del XIV, si compì in stadi successivi, che videro gli elenchi delle entrate e delle uscite evolversi da semplici annotazioni a libri imposti dal comune e da esso verificati meticolosamente, fino a trasformarsi in strumenti di un'amministrazione tesa a raggiungere un sempre più alto livello di efficienza. Al punto iniziale di questa evoluzione troviamo annotazioni semiufficiali del tesoriere, che egli redigeva per proprio conto onde disporre di un quadro complessivo e di una base per il periodico rendiconto orale di fronte al consiglio o all'assemblea cittadina. Se, quindi, in questa fase il comune si assumeva una funzione di verifica sull'amministrazione, senza però incaricarsi della contabilità vera e propria, la situazione cambiò radicalmente a partire dagli albori del XIII secolo con l'emanazione di statuti che prescrivevano di tenere libri contabili. A tale istituzionalizzazione della forma scritta nell'amministrazione finanziaria seguì, di lì a poco, l'istituzione di una verifica sugli elenchi delle entrate e delle uscite, essa pure basata sulla forma scritta. Con l'impostazione di ulteriori elenchi speciali e con la connessione reciproca di tutti i libri per mezzo di una rete di rimandi si venne mano a mano sviluppando, nel campo dell'amministrazione finanziaria comunale, una struttura sempre più differenziata della documentazione amministrativa, della quale la registrazione regolare delle entrate e delle uscite secondo una ben determinata forma rappresentava un elemento integrante.
Mentre le testimonianze della prima fase di contabilità comunale, quella della semplice registrazione, rappresentano un'eccezione (Piacenza), si nota che all'introduzione della verifica da parte del comune corrisponde una quantità notevolmente maggiore di documenti pervenutici nel campo dell'amministrazione finanziaria. A spiegare questa svolta decisiva non sono più sufficienti le informazioni ricavabili dai documenti stessi, ma è necessario considerare la situazione interna complessiva del comune, nella quale il governo cittadino venne ad esercitare un'influenza massiccia sull'impostazione, la forma e la verifica dei libri contabili. Ai tempi della semplice registrazione, l'amministrazione finanziaria si trovava esclusivamente nelle mani dell'aristocrazia consolare, unica detentrice del potere; ma a partire dalla fine del XII secolo il partito popolare conquistò una sempre maggiore influenza sulla guida e l'amministrazione del comune in generale, ed in particolar modo nel campo delle finanze. Questo nuovo gruppo sociale rivendicò che fosse resa pubblica la destinazione dei fondi comunali, il che era garantibile soltanto attraverso l'annotazione scritta di tutte le entrate e le spese, nonchè attraverso la verifica di queste da parte di commissioni indipendenti. Si venne inoltre a creare l'esigenza di conservare nei comuni in maniera duratura i libri contabili, per poterne eventualemte effettuare la verifica anche in un periodo successivo e in qualunque momento.
Su questo sfondo è possibile comparare lo sviluppo della contabilità comunale in Italia anche con il diffondersi dei registri contabili nelle città d'oltralpe, che pure iniziò, in molti casi, assai più tardi. Molti dei primi esempi di contabilità pervenutici risalgono, infatti, al periodo delle lotte delle corporazioni, accesesi non di rado a causa del malcontento nei confronti della tuttora segreta amministrazione del denaro pubblico da parte delle famiglie al governo. In tale situazione furono avanzate - e imposte - rivendicazioni di un controllo sulle finanze da parte di commissioni indipendenti. Al nord come al sud delle Alpi i conflitti interni, ed anche l'impegno a risolverli all'interno della comunità, provocarono un incremento nell'impiego della forma scritta nell'amministrazione finanziaria.
6. Peter Lütke Westhues (in collaborazione con Petra Koch), L'imposta patrimoniale
(estimo) nel XIII secolo. Ricostruzione ed analisi del procedimento (pp. 149-188).
L'esazione delle tasse nei comuni italiani fornisce un esempio rimarchevole di impiego sistematico della scrittura. Le tradizioni archivistiche di Chieri e Pavia - edite solo in parte e i cui contenuti risultano complementari - come anche alcune testimonianze vercellesi, qui utilizzate come termini di confronto, permettono di ricostruire ed analizzare il procedimento dell'estimo. Nonostante le testimonianze pervenuteci siano differenti sia per natura che per provenienza, è possibile ricondurle ad un quadro unitario. Esse documentano un procedimento che faceva capo al principio dominante di un'equa distribuzione degli oneri tributari. Per potere mettere in pratica questa esigenza, i comuni svilupparono un sistema graduale e strutturato razionalmente di procedure amministrative strettamente collegate tra loro, sistema che si basava sulla registrazione scritta di tutti i dati rilevanti dal punto di vista fiscale. Per potere disporre di un panorama complessivo dell'asse patrimoniale imponibile, si procedeva alla stesura di elenchi, nei quali venivano riassunte le informazioni date dai contribuenti nella loro 'dichiarazione dei redditi'. La veridicità delle dichiarazioni poteva essere controllata nell'ambito del procedimento fiscale stesso - ad esempio tramite l'annotazione parallela dell'ammontare dei canoni sia per il locatario che per il locatore, o dei prestiti sia per il debitore che per il creditore - oppure esternamente ad esso, tramite atti e libri concernenti altri campi dell'amministrazione comunale. Insieme a speciali elenchi che registravano in modo esaustivo singoli dati di diverso utilizzo, sorsero nuovi tipi di libro: registri delle somme stimate, registri dei debitori e dei creditori, elenchi degli introiti fiscali e dei debitori d'imposte. Essi consentivano di accedere con facilità a informazioni di carattere specifico. I vari libri venivano aggiornati continuamente, in modo che si disponesse per ogni esazione di informazioni complete ed attendibili. La messa per iscritto del procedimento di estimo comunale segna il raggiungimento di un più alto livello nell'organizzazione delle cognizioni amministrative, che teneva conto dell'esigenza di una tassazione equa e corrispondente alle necessità attuali.
7. Michael Drewniok, L'organizzazione dell'approvvigionamento alimentare a Novara
secondo le norme statutarie comunali del XIII secolo (pp. 189-215).
Il contributo si pone l'obiettivo di delineare la densità e la completezza di norme statutarie e misure di controllo sull'esempio di un aspetto centrale della politica comunale: l'approvvigionamento alimentare. L'esempio scelto, quello di Novara, viene inserito in una cornice più ampia attraverso osservazioni complementari su altri comuni dell'Italia settentrionale.
Le misure vigenti a Novara andavano dalla stima preventiva del raccolto e dal censimento del bestiame fino alla sorveglianza sia sul trasporto dal contado alla città sia, infine, sulla vendita dei generi alimentari sul mercato cittadino. Le 133 norme pervenute fino a noi occupano circa un terzo dei paragrafi contenuti nel codice statutario del 1276-1291, l'unica raccolta di leggi del XIII secolo tramandata. La vastità e la minuziosità che caratterizzavano le disposizioni si estendevano anche all'applicazione delle norme statutarie nella vita quotidiana, a cui il comune sovraintendeva con particolare energia. Per questo erano previste misure di controllo di ampia portata e a loro volta basate sulla forma scritta, tra cui, ad esempio, il confronto quantitativo delle esportazioni e importazioni di generi alimentari, a cui la popolazione sia del contado che della città doveva sottostare. I responsabili di questi settori dell'amministrazione, nonchè i funzionari a loro sottoposti erano tenuti a portare con sè copie di singoli statuti, per far valere il diritto statutario laddove ve ne fosse stato bisogno. Al tempo stesso era uso esercitare una sorveglianza regolare anche su quegli stessi funzionari, i quali non di rado dovevano sottoporre ad una commissione di controllo gli 'atti' relativi alla propria attività.
Agli inizi del XIV secolo, il ceto governativo di Novara era giunto, con l'appoggio degli statuti, ad un'organizzazione dell'approvvigionamento alimentare. Numerose norme complementari, che andavano a precisare o addirittura a riformulare le disposizioni vigenti, testimoniano inoltre una pratica sempre maggiore di adeguare le leggi già fissate per iscritto al subentrare di altre necessità, procedendo di volta in volta ad emendarle, cancellarle o integrarle. Con ciò risulta sempre più evidente, anche nei dettagli, la volontà di disporre di una documentazione completa relativa a dati e circostanze.
8. Marita Blattmann, Elezioni e utilizzo della scrittura a Bergamo negli ultimi decenni
del XIII secolo (pp. 217-264).
Nonostante l'assegnazione di quasi tutte le cariche pubbliche attraverso elezione rappresenti un elemento costitutivo dei comuni italiani, risulta difficile rilevare dettagliatamente procedimenti e scritture elettorali. Attraverso l'analisi parallela di diversi codici statutari bergamaschi del XIII secolo e di due protocolli elettorali casualmente conservati, è possibile però ricostruire la procedura riguardante l'elezione 'per sortem' - la prassi più frequente a Bergamo, come in generale in tutti i comuni dell'Italia settentrionale a partire dal terzo decennio del XIII secolo. Già il procedimento elettorale vero e proprio, costituito da più tornate, richiedeva un considerevole lavoro di scrittura per la stesura di schede per il sorteggio, nonchè elenchi degli elettori, protocolli delle votazioni e liste dei risultati. L'impegno di mezzi crebbe notevolmente allorchè furono messe in atto alcune rivendicazioni popolari, come ad esempio l'estensione del diritto di voto a nuovi ceti, una più severa proporzionale per i rappresentanti dei gruppi, 'anni di sospensione' da inframezzarsi fra l'assunzione di due cariche o funzioni pubbliche. L'osservanza di queste norme poteva essere controllata soltanto attraverso complicate verifiche elettorali documentate per iscritto. Gli scrutatori, a loro volta, necessitavano di matricole, elenchi degli elettori, liste di quanti erano esclusi dalla cerchia dei possibili candidati avendo da poco ricoperto una carica pubblica o di quanti avevano perso durevolmente il diritto di voto. Alcuni dei dati avrebbero bensì potuto essere accertati per mezzo di altri elenchi - quelli riguardanti le privazioni dal diritto di voto, ad esempio, dai libri di banno comunali, i nomi degli elettori dell'anno precedente dai relativi protocolli elettorali - ma a partire dalla metà del secolo si cominciò a passare definitivamente alla redazione di estratti speciali dai suddetti registri, esclusivamente a scopo di consultazione nell'ambito delle procedure elettorali. Costava uno sforzo non insignificante tenere aggiornata la notevole massa di dati che dovevano corrispondere tra loro, e che casi di morte, trasferimenti, condanne, o semplicemente lo scadere di periodi di sospensione, rendevano estremamente fluttuanti, anche tenendo conto del fatto che alcune corporazioni e 'societates' tenevano a loro volta elenchi riguardanti il loro particolare settore. Proprio considerando associazioni più ristrette, le quali copiavano la prassi elettorale del comune, si riceve l'impressione che il lavoro di scrittura superasse di gran lunga le necessità effettive.
Un'analisi dei risultati elettorali mostra che, a dispetto delle complicate procedure, non erano i candidati più 'utili' alla comunità a vincere la gara, ma i più utili ai singoli elettori: secondo le aspettative, in caso di nomina semplice gli eletti erano parenti, in caso di decisioni maggioritarie nell'ambito di una cerchia di elettori sorteggiati, la scelta cadeva sui maggiorenti.
9. Thomas Behrmann, Annotazioni sull'uso della scrittura nella diplomazia comunale
del XII e del primo XIII secolo (pp. 265-281).
Le forme e i meccanismi dei rapporti tra i comuni italiani nel XII e XIII secolo sono stati fino ad ora solo sporadicamente oggetto di ricerche storiche specifiche. Il presente contributo prende in esame, basandosi principalmente su materiale documentario milanese, singoli aspetti del processo di diffusione della scrittura nel campo della diplomazia comunale. I rapporti di alleanza tra i comuni si basano nel XII secolo sul giuramento prestato dai loro rappresentanti come pure dalle assemblee popolari. Le scritture ricoprono di norma un ruolo sussidiario. Esse vengono stese per la maggior parte di casi come annotazioni informali; ciò vale anche per il primo periodo della Lega Lombarda. E' nella Lega che i rapporti reciprocamente intrattenuti dai comuni assumono un carattere nuovo e multilaterale, senza che del resto - a quanto sembra - ogni singolo comune avesse documentato per iscritto e stistematicamente il nuovo intreccio di rapporti; il numero dei documenti della Lega conservati in ciascuna città non può comunque essere assunto come indizio di interesse o disinteresse dei singoli membri alla causa comune. Alquanto insolita è invece la grande quantità di scritture a carattere prevalentemente informale e risalenti ai primi anni della Lega conservate a Lodi e a Cremona, le due più accese rivali di Milano. Verso la fine del XII secolo viene a proporsi, in un ruolo di primo piano, la figura del notaio come uno degli artefici della diplomazia comunale. Trattati di alleanza, ma anche scritture di accompagnamento, vengono formulati come strumenti notarili; anche la frequente partecipazione dei notai alla conclusione dei trattati al di fuori del proprio territorio cittadino testimonia l'interesse crescente dei loro comuni a possedere una documentazione della propria politica estera vincolante anche dal punto di vista giuridico. Una comprensione migliore della tradizione e della forma giuridica dei rapporti di alleanza tra i comuni rimane un compito importante per la ricerca storica.
10. Barbara Sasse Tateo, La citazione di registri
comunali nelle cronache di Galvaneo
Fiamma (pp. 283-303).
Le citazioni dai Registri dei Panigarola contenute nelle cronache che il domenicano milanese Galvaneo Fiamma stese nel primo trentennio del XIV secolo, rappresentano una fonte importante, unica per la sua ampiezza, in grado di fornirci nozioni sul perduto liber iurium del comune di Milano. Secondo le indicazioni di Fiamma, Milano disponeva agli inizi del XIV secolo di due diverse raccolte di leggi, i privilegia antiqua comunitatis e il registrum potestatum de Mediolano, entrambe custodite dalla famiglia dei Panigarola. La prima delle suddette raccolte è da identificarsi con il liber iurium, di cui è possibile ricostruire a grandi linee sia il complesso delle norme da attribuire al nucleo originale del XII secolo, sia integrazioni successive, e che fu sottoposto verosimilmente ad una nuova redazione alla svolta tra il XIII e il XIV secolo. Infatti i registri presi in esame dal Fiamma contenevano copie di documenti - sia privilegi del sovrano, sia patti conclusi da Milano con comuni limitrofi - che coprono tutto il periodo dello sviluppo del comune, dalla lotta contro l'imperatore Federico Barbarossa nella seconda metà del XII secolo, a quella contro Federico II nella prima metà del XIII, fino alla lenta disgregazione della forma di governo comunale e al costituirsi della Signoria a partire dalla fine del Duecento. Il confronto delle citazioni di Fiamma, per lo più assai dettagliate, con il notevole numero di documenti accessibili ancor oggi fornisce nella maggior parte dei casi una prova della completezza e dell'autenticità della sua fonte; al tempo stesso, però, si constatano in alcuni punti differenze che lasciano trasparire una manipolazione intenzionale della tradizione storica cittadina secondo gli interessi dei Visconti, signori della città ai tempi del Fiamma.
Oltre alle citazioni la cui fonte è indicata espressamente dall'autore, vi sono nelle sue cronache anche tracce di taciti prestiti dai libri comunali; tra questi è da prendere particolarmente in considerazione, oltre al liber iurium, che conteneva il diritto comunale pattuito contrattualmente, anche il nominato registrum potestatum, il quale probabilmente è da collegarsi al libro degli statuti, non nominato dal Fiamma in quanto tale e di cui è giunta fino a noi soltanto una redazione posteriore (del 1396). Infine la scelta delle citazioni operata dal Fiamma rende riconoscibile un rapporto con la situazione politica contemporanea all'autore (il conflitto dei Visconti con la curia avignonese) poichè forniva ai signori milanesi argomentazioni storicamente fondate per la difesa delle loro rivendicazioni sul dominio della città.
11. Jörg W. Busch, Riflessi del processo di diffusione della scrittura nella storiografia
lombarda tra l'XI e il XIII secolo (pp. 305-321).
L'utilizzo della scrittura e del libro, non solo per le funzioni religiose e l'interpretazione delle sacre scritture, ma anche per i campi della giustizia, dell'amministrazione, dell'economia, fu un fatto di portata addirittura rivoluzionaria. La storiografia dell'epoca prese nota però solo marginalmente di questa evoluzione. I mutamenti, infatti, avvennero gradualmente e nell'ambito della vita quotidiana, e non si manifestarono attraverso avvenimenti eccezionali e memorabili, che avrebbero potuto destare l'interesse degli storici. Come dimostrano gli esempi provenienti da Lodi, Milano, Padova, Piacenza e Reggio Emilia, gli autori svolgevano attività di ambasciatori, notai o giudici per conto del loro comune, erano quindi certamente ben coscienti del significato e dell'uso sia della scrittura che del libro nella prassi politica ed amministrativa di ogni giorno. Essi, però, non intendevano fare dello strumento di lavoro quotidiano un oggetto delle proprie esposizioni. Di statuti, sentenze e trattati intercittadini in forma scritta tenevano conto in quanto elementi di rilievo per il corso degli avvenimenti. Per gli autori, così come per i lettori, la forma scritta era un fenomeno talmente ovvio da non dover essere messo in risalto, se non in casi eccezionali: quando ad esempio un chierico in mancanza di altra specifica occupazione veniva impiegato presso i consoli per la stesura della corrispondenza, o quando il libro mastro delle tasse imperiali veniva utilizzato come simbolo dell'oppressione da parte del sovrano; in seguito all'omicidio di un notaio che affiancava un funzionario pubblico, o ancora quando si tentava, per mezzo di un documento, di arrestare un nemico che minacciava il saccheggio. Tali sporadiche notizie non valgono comunque a fornire un quadro completo dei procedimenti scritti nell'ambito del comune. Ciò significa che non sono le opere storiografiche dell'area lombarda, bensì le stesse fonti pervenuteci, a dover essere utilizzate per l'esame di fenomeni che, come nel caso della diffusione della scrittura, provocarono una modifica della vita quotidiana nel medioevo. Poichè d'altronde i cronisti dell'epoca attingevano occasionalmente al nuovo materiale scritto dei comuni, e poichè i contemporanei utilizzavano gli stessi scritti storici come elementi probanti nei procedimenti giuridici e nell'attività politica, le opere storiche vengono a riflettere la disponibilità mentale di quell'epoca ad impiegare la scrittura ed il libro nella prassi quotidiana. La storiografia dà quindi una testimonianza indiretta di mutamenti che pure gli autori non rappresentarono direttamente.